“Genocidio”- la competizione delle memorie

Il giorno 3 febbraio si è tenuto un incontro del Forum di Limena in cui i promotori hanno cercato di capire insieme che cosa sta dicendo a noi qui il conflitto in Israele-Palestina. Più avanti daremo qualche notizia su quanto emerso. Nel frattempo inviamo questa News Letter, dedicata allo stesso tema, in cui utilizziamo testi non apparsi in Italia.
Una prima parte, formata da due articoli pubblicati su Le Monde, e da una introduzione che ne presenta i contenuti, cerchiamo di ragionare sulla parola genocidio e su che cosa c’è in gioco dietro l’iniziativa del Sud Africa di denunciare Israele presso la corte de L’Aja. La questione va ben al di là del suo significato formale.
Introdotta da una sintesi esplicativa, in una seconda parte, pubblichiamo una analisi sulla situazione politica in Israele scritta dal caporedattore di Haaretz che getta qualche dubbio sull’idea che la sostituzione di Netanyahu sia di per se risolutiva.

A proposito dell’uso del termine “Genocidio” e della causa intentata dal Sudafrica contro Israele presso la Corte dell’Aja

A cura di Alessandro Castegnaro

Parole incaute
In una intervista al Fatto Quotidiano del 3 gennaio 2024 l’arcivescovo Ricchiuti, presidente di Pax Christi, non si è fatto problema ad anticipare la sentenza che, non prima di molti mesi, verrà emessa dalla Corte Internazionale di Giustizia de L’Aja, dichiarando che a Gaza è in atto un “genocidio”. Non contento egli ha inoltre aggiunto che il rapporto tra i palestinesi e gli israeliani uccisi è ben superiore a quello di dieci a uno cui si atteneva l’esercito tedesco in caso di rappresaglia… Con quale sensibilità per i reiterati sforzi di Papa Begoglio, volti a mantenere una posizione di equilibrio nel conflitto in Palestina, lascio a voi giudicare.
Il segretario di stato Card. Parolin, in una franca intervista rilasciata alcuni giorni dopo la stesura di queste note, ha denunciato la “sproporzione” tra le vittime dell’una e dell’altra parte, ma senza ricorrere alla parola “genocidio”. Continua a leggere

L’accusa di ‘genocidio’, un’arma nei grandi conflitti geopolitici

Di Jérôme Gautheret, In Le Monde dell’1 febbraio 2024 [nostra traduzione]

Sebbene la Convenzione ONU del 1948 contenga l’impegno a prevenire e punire il crimine di genocidio, questo rischio è stato spesso invocato quando si è trattato di giustificare l’intervento militare.
La Corte internazionale di giustizia (ICJ) dell’Aia non si è pronunciata nel merito né ha accolto la richiesta del Sudafrica di un cessate il fuoco immediato a Gaza, dove l’offensiva israeliana lanciata in seguito agli attentati del 7 ottobre 2023, ha causato oltre 26.000 vittime (secondo il Ministero della Sanità di Gaza, amministrato da Hamas) e ha portato allo spostamento di 1,9 milioni di persone, l’80% degli abitanti dell’enclave.
Ma venerdì 26 gennaio, dichiarandosi competenti a pronunciarsi sulle accuse di atti di genocidio, e poi invitando il governo Netanyahu a “impedire la commissione di tutti gli atti che rientrano nell’ambito” della Convenzione sul genocidio a Gaza, i giudici hanno inflitto un rimprovero senza precedenti nei confronti di Israele. Continua a leggere

“Il Sud del mondo sta sfidando una memoria collettiva dominata dall’Olocausto e confrontandola con la colonizzazione”

Di Sylvie Kauffmann (editorialista), in Le Monde del 18 gennaio 2024 [nostra traduzione]

Le udienze del caso del Sudafrica che accusa Israele di genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia illustrano l’emergere del Sud del mondo e la sua sfida all’ordine imposto dall’Occidente.
Non è una coincidenza che uno dei più brillanti avvocati del team legale che discute il caso del Sud Africa contro Israele per genocidio davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sia un avvocato irlandese. Indossando una parrucca bianca del XVII secolo sopra i lunghi capelli, Blinne Ni Ghralaigh ha fatto una spaventosa presentazione clinica giovedì 11 gennaio all’Aia, nei Paesi Bassi, di quello che ha descritto come “il primo genocidio trasmesso in diretta streaming” dei palestinesi di Gaza. La giovane avvocatessa, sostengono alcuni suoi ammiratori, beneficia di una doppia qualifica: esperta riconosciuta nella difesa dei diritti umani nel diritto internazionale, proviene da un paese che è un’ex colonia. Continua a leggere

Prospettive fosche per la pace secondo il caporedattore di Haaretz

A cura di Alessandro Castegnaro

Negli Usa e in Europa si discute molto sulle possibilità che le proposte per la pace su cui stanno lavorando il presidente Biden e la diplomazia americana (Sullivan, Blinken, ecc.) siano realistiche. Un commentatore come Thomas Friedman, del New York Times, sembra credervi, ma l’editorialista di Le Monde Elena Sallon non ci crede affatto. La rivista Foreign Affairs è anch’essa scettica e di recente ha sostenuto l’idea che, dato lo scarso peso che gli USA hanno oggi, alla fine saranno gli attori locali a decidere, una tesi sostenuta già in ottobre da Olivier Roy, sociologo francese con esperienze diplomatiche.
Su questo tema ascoltiamo una voce israeliana.
Prima del 7 ottobre
L’articolo che qui riportiamo è stato pubblicato il 7 febbraio 2024 su Foreign Affairs. Ne è autore Aluf Benn, caporedattore del quotidiano Haaretz, la nota testata israeliana di orientamento progressista, che la destra integralista sostiene polemicamente essere un “giornale arabo in lingua ebraica”. Continua a leggere

L’autodistruzione di Israele

Netanyahu, i palestinesi e il prezzo dell’abbandono
Di Aluf Benn, pubblicato il 7 febbraio 2024 su Foreign Affairs [nostra traduzione]

In un luminoso giorno dell’aprile 1956, Moshe Dayan, il capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane (IDF), con un occhio solo, guidò a sud verso Nahal Oz, un kibbutz di recente costruzione vicino al confine della Striscia di Gaza. Dayan venne per partecipare al funerale del 21enne Roi Rotberg, che era stato assassinato la mattina precedente dai palestinesi mentre pattugliava i campi a cavallo. Gli assassini trascinarono il corpo di Rotberg dall’altra parte del confine, dove fu trovato mutilato, con gli occhi fuori dalle orbite. Il risultato fu uno shock e una angoscia a livello nazionale.
Se Dayan avesse parlato nell’Israele moderno, avrebbe usato il suo elogio in gran parte per denunciare l’orribile crudeltà degli assassini di Rotberg. Ma come venne formulato negli anni ’50, il suo discorso era straordinariamente comprensivo nei confronti dei colpevoli. “Non diamo la colpa agli assassini”, ha detto Dayan. Continua a leggere