A proposito dell’uso del termine “Genocidio” e della causa intentata dal Sudafrica contro Israele presso la Corte dell’Aja

Parole incaute
In una intervista al Fatto Quotidiano del 3 gennaio 2024 l’arcivescovo Ricchiuti, presidente di Pax Christi, non si è fatto problema ad anticipare la sentenza che, non prima di molti mesi, verrà emessa dalla Corte Internazionale di Giustizia de L’Aja, dichiarando che a Gaza è in atto un “genocidio”. Non contento egli ha inoltre aggiunto che il rapporto tra i palestinesi e gli israeliani uccisi è ben superiore a quello di dieci a uno cui si atteneva l’esercito tedesco in caso di rappresaglia… Con quale sensibilità per i reiterati sforzi di Papa Begoglio, volti a mantenere una posizione di equilibrio nel conflitto in Palestina, lascio a voi giudicare.
Il segretario di stato Card. Parolin, in una franca intervista rilasciata alcuni giorni dopo la stesura di queste note, ha denunciato la “sproporzione” tra le vittime dell’una e dell’altra parte, ma senza ricorrere alla parola “genocidio”.
Un argomento per supportare i conflitti geopolitici
Si tratta evidentemente di una parola, quella di genocidio, che va usata con cautela. Come spiega Jérôme Gautheret[1] in uno dei due articoli qui riportati, in tempi recenti il ricorso ad essa, più che sollevare una questione da valutare in sede giuridica, è diventato uno degli argomenti cui si fa ricorso nei conflitti geopolitici e viene spesso utilizzato per giustificare l’intervento militare[2]. Così è stato nel caso dell’intervento anglo francese in Libia nel 2011. Idem nel caso dell’intervento russo in Ucraina, il quale sarebbe stato giustificato, secondo Wladimir Putin, dalla necessità di fermare il genocidio nel Donbass. Nel suo piccolo anche il vescovo Ricchiuti ha fatto un uso del termine assimilabile, ricorrendo ad esso come ad una clava semantica per rafforzare il suo sostegno alla causa palestinese.
A muoversi è un Paese simbolo della repressione coloniale
Al di là di questo, è assai interessante riflettere sulle ragioni che hanno spinto il Sudafrica a proporre la causa per genocidio contro Israele in relazione all’intervento su Gaza. Forse anche voi vi sarete chiesti, cosa centrasse Pretoria e quali fini si proponesse. Lo spiega – mi pare abbastanza bene – Sylvie Kaufmann, editorialista di le Monde, nell’altro articolo che segue.
Anche in questo caso si va ben oltre il mero procedimento legale. Forse noi lo abbiamo sottovalutato, ma il fatto che il caso contro Israele sia stato intentato da un paese come il Sud Africa, simbolo della repressione coloniale e della segregazione razziale, rappresenta un avvenimento di notevole portata storica. Come ha detto, giustamente dal suo punto di vista, Netanyahu: “È un mondo alla rovescia”.
Una sfida alla memoria occidentale
Siamo in effetti in presenza di una denuncia del Sud del mondo, rivolta ad ampio raggio contro i criteri occidentali di superiorità morale. Essa tenta di mettere in discussione l’ordine mentale “occidentale”, ponendosi come una sfida a una memoria collettiva dominata dall’Olocausto, cui viene apertamente contrapposta quella della colonizzazione, vissuta dai paesi del Sud. Già nel 1948 lo scrittore Aimé Césaire[3] osservava che l’Occidente, mentre ha riconosciuto i crimini nazisti, non ha mai svolto una equivalente opera di commemorazione per i crimini della colonizzazione e la schiavitù.
Esemplare a questo riguardo è stata di recente la reazione del presidente della Namibia, Hage Geingob, all’offerta tedesca di difendere Israele di fronte alla Corte dell’Aja, in ragione delle responsabilità tedesche nel crimine della Shoa. Opponendosi a questa iniziativa egli ha ricordato che, se è per questo, i tedeschi (i coloni) si erano macchiati anche del primo genocidio del XX secolo, sterminando le popolazioni Herero e Nama nel 1904-1908 (dal 50 all’80% della popolazione assassinata). Lasciando intendere che a ciò non era seguito un mea culpa paragonabile.
Un luogo comune
Questa dinamica Sud contro Nord è stata galvanizzata dagli eventi successivi al 7 ottobre. A dispetto della sua definizione legale, la parola “genocidio” è diventata perciò un luogo comune se si parla dei palestinesi di Gaza, mentre la situazione della Cisgiordania viene ricondotta alle memorie della colonizzazione. Questa operazione, pur intentata, non è riuscita invece all’Ucraina. E più in generale la narrazione occidentale dell’invasione russa ha ricevuto consensi molto limitati nei paesi del Sud.
I buoni, come i cattivi, non stanno tutti dalla stessa parte
A scanso di equivoci, non bisogna credere sia tutto oro quel che luccica. Le ragioni per cui il Sudafrica ha intentato la causa presso la corte dell’Aja sono anche di altra natura e la sua posizione è meno limpida di quello che potrebbe sembrare. Il partito al potere dal ’94 (ANC) ha bisogno di rafforzare la propria presa e l’attaccamento alla causa palestinese, già proclamato da Nelson Mandela, serve anche a questo.
Il Sudafrica, d’altro canto, non si è dimostrato sempre così attento sulle questioni del genocidio. In passato (2015) aveva ospitato il leader sudanese Omar Al-Bashir, ricercato per genocidio e crimini contro l’umanità da quella stessa corte penale cui oggi ci si rivolge in cerca di giustizia e lo aveva lasciato andare impedendone l’arresto.
Nelle ultime settimane inoltre il Sudafrica ha ricevuto Il generale Mohammed Hamdan Daglo (alias “Hemedti”), attualmente a capo di una delle parti in conflitto per la supremazia in Sudan, che è noto internazionalmente per i massacri compiuti nel Darfur, anche di recente. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, tra le 10.000 e le 15.000 persone – principalmente della comunità Masalit – sono state uccise proprio dai paramilitari del generale Hemedti nella città di El Geneina nel Darfur occidentale.
Per concludere
I rapporti internazionali non sono esattamente il luogo delle colombe immacolate. Meglio evitare perciò quel genere di afasia da colpevolizzazione che prende noi occidentali ogni volta che il Sud ci mette davanti alle nostre responsabilità storiche e ai limiti dei modi con cui le abbiamo rielaborate. I buoni o i cattivi, come preferite, non stanno tutti dalla stessa parte. Al contrario, sono assai ben distribuiti. E quando possono prendere il randello dalla parte del manico…

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[1] Giornalista francese, corrispondente italiano di Le Monde.
[2] L’arti 1 della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (9/12/1948) prevede l’impegno a prevenire e punire questo crimine e quindi l’obbligo ad agire, quando viene identificato un massacro che rientra nelle tipologia genocida.
[3] Poeta, scrittore e politico originario della Martinica, assieme al senegalese Léopold Sédar Senghor e al guyanese Léon-Gontran Damas fu tra i creatori del movimento della négritude (negritudine).