Maggio 2021

Dialogo sull’irrilevanza veneta. Il Veneto, la politica, la classe dirigente. Presuntuosi, ma insignificanti?

Decenni di corsa, inseguendo il benessere.
La voglia di diventare i “primi della classe”, senza mai riuscirci, ma convinti di esserlo.
Il mancato riconoscimento da parte degli altri, la reazione, il rancore, il desiderio di autosufficienza, la tentazione di andare per i fatti propri.
L’irrilevanza? L’isolamento? L’autonomia?

Il webinar che il forum proporrà il 22 maggio si propone di descrivere i tratti, di capire le ragioni e di verificare l’idea di una sostanziale irrilevanza del Veneto e dei suoi gruppi dirigenti, nel quadro nazionale.
Tanto più la regione ha cercato di affermarsi, minacciando la separazione, o la separatezza, per accrescere il proprio potere contrattuale, tanto meno essa sembra contare di fatto. E ciò accade anche quando c’è omogeneità tra rappresentanza politica regionale e nazionale.
Intendiamo assumere questo punto di partenza non per unirci al coro di quanti denunciano il mancato riconoscimento esterno e si sforzano di individuare nuove vie di autoaffermazione, ma perché abbiamo la sensazione, che esso abbia da dirci qualcosa di più fondamentale su quello che siamo e sulle strategie politiche che in questi anni sono state seguite al fine di affermare il peso della regione, o del “popolo veneto…”
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Una regione avvitata

Francesco Jori, Prefazione al libro di P. Giaretta: “Identità e rappresentanza nel Veneto della Repubblica”, 2020, Padova, Il Poligrafo. Jori, già vicedirettore del Gazzettino e editorialista dei quotidiani locali del gruppo Espresso, non si fa troppe illusioni sull’irrilevanza di cui intendiamo occuparci. “Il grande balzo in avanti” che in poco tempo ha portato il Veneto “dalla miseria al benessere”, sembra a suo avviso concludersi oggi con “una crisi profonda”. Quella di “una regione avvitata in un clima sospeso tra protesta e rivendicazione da un lato, assenteismo e sfiducia dall’altro”. Il Veneto, “anziché costruire alleanze esterne, si è ripiegato in una rancorosa autopromozione interna, sfociata in ripetute minacce di strappo mai davvero mantenute. Ed è rimasto assente dai posti che contano a Roma”: in politica, in economia (Confindustria), nella Chiesa, nell’informazione.
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Gli imprenditori, le contraddizioni, gli imbarazzi

Nella newsletter inviata il 28 novembre abbiamo segnalato criticamente i contenuti della lettera che le più importanti organizzazioni economiche della regione avevano inviato il 16 di giugno al Presidente del Veneto. In essa si sottolineava la necessità di “un ambizioso piano strategico” per affrontare la fase post-pandemica, ma non vi era traccia degli impegni che le organizzazioni firmatarie intendevano assumere e tutto si riduceva all’idea che nulla di serio potesse essere realizzato se lo Stato nazionale, individuato come unico responsabile, non avesse assegnato più risorse alla Regione. Come osservammo allora “questa insolita mobilitazione (…) avviene non per fare qualcosa, come sarebbe naturale per una classe dirigente, ma per rivendicare qualcosa”.
Un episodio recente aggiunge ulteriori elementi di riflessione in continuità con questa linea. Negli stessi giorni in cui il governo annuncia che la Tav Salerno Reggio Calabria viene inserita come opera prioritaria nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il Veneto è costretto a prendere atto che l’alta velocità perora si ferma a Vicenza. Ciò accade perché l’Europa accetta solo interventi immediatamente cantierabili, mentre le province che dovevano essere interessate al passaggio della Tav, dopo decenni di bisticci, non sono riuscite a mettersi d’accordo sul tracciato. “Nonostante i ministri Bellunesi, di Venezia e di Trieste, il Veneto che produce è tagliato fuori”. E questo è un fatto “imbarazzante” dice Mario Pozza (presidente Unioncamere regionale) nella videoconferenza organizzata dal Mattino di Padova che rendiamo disponibile (pubblicata il 28 marzo).
Il dibattito che segue tra i Presidenti delle Camere di Commercio, sollecitati dal direttore del Mattino, è illuminante. Quegli stessi soggetti che hanno dichiarato il loro sostegno all’autonomismo spinto della Regione ora sostengono che “è mancata al governo la volontà di imporsi. Se le autonomie locali non danno risposte è il governo centrale a dover intervenire” (Pozza). I presenti non vorrebbero dare la colpa alla Regione, anche perché sanno di averne a loro volta, ma qualche dubbio la vicenda della Tav lo fa venire anche a loro: “È mancata una regia a livello regionale” (Pozza). E del resto: “Il piano della Regione Veneto sul Recovery plan è composto da 400 pagine”. Ma non vi è uno straccio di priorità. “Non è normale [allora] che il Governo dica; «Io non capisco cosa vuoi»?”, si chiede Zaltron. Mentre Riello conclude dicendo che “l’imprenditoria veneta ha sottovalutato il problema di essere scarsamente rappresentata politicamente”. Ma non erano gli stessi che qualche mese prima esprimevano solamente il loro entusiasmo per la leadership regionale? Ma il problema non è che i gruppi dirigenti delle province venete avrebbero dovuto mettersi d’accordo per tempo o, se incapaci di farlo, chiedere alla Regione di decidere per esse?
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Con lo sguardo ancora rivolto a passato

Paolo Gurisatti, economista e Direttore della Fondazione Palazzo Festari, propone una sintetica lettura delle trasformazioni socio-economiche del Veneto. La geografia del mondo del lavoro sta cambiando assai più velocemente di quanto non stiano mutando i modi con cui la società locale ama raccontarsi. Gli indizi disponibili indicano una forte discontinuità rispetto al passato manifatturiero. E, anche se non è il caso di correre subito a drammatizzare, il sistema economico segnala una “perdita di colpi”. Il suo ritmo di sviluppo è molto simile a quello medio italiano e inferiore a quello europeo. Soprattutto si manifesta uno scarto crescente tra le attese di reddito e di lavoro soddisfacente che le giovani generazioni manifestano e le opportunità che il sistema offre. Il Veneto tende a “vivere esperienze nuove con la testa nel passato”. I leader delle istituzioni e delle associazioni di rappresentanza degli interessi hanno oggi il compito di aggiornare gli strumenti attraverso cui si rappresentano il contesto regionale e cercano di orientare l’azione collettiva.
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Grandi restano soltanto i sogni

Luigi Copiello, già dirigente Cisl del Veneto, pubblica frequenti interventi sul Corriere del Veneto che possono aiutare a comprendere i problemi socio-economici della regione. Ne riportiamo quattro:
– nel primo, dell’8 gennaio 2021, Copiello mette in luce come le performance economiche del Veneto siano da alcuni anni inferiori a quelle dell’Emilia Romagna, regione per tanti aspetti simile, e si interroga sulle ragioni di questa disparità;
– nell’articolo del 6 marzo denuncia una certa ristrettezza di sguardo che induce a considerare il Nord Est in termini riduttivi (le tre Venezie), mentre sempre più spesso i “padroni del Veneto” sono altrove e le risorse per gestire gli affari che contano ci sono, ma vanno collocate in un contesto di Nord Est allargato;
– il 21 marzo sottolinea il ruolo secondario esercitato dalle grandi imprese esistenti in Veneto. Nessuna di esse ha un ruolo dirigenziale nelle strutture della Confindustria e i loro “grandi progetti”, quando ci sono stati, non si sono realizzati, per l’opposizione di un contesto ancora incline al “piccolo è bello”;
– il 20 aprile infine Copiello evidenzia il fatto che, nonostante il pianto ricorrente per la mancanza, sul mercato del lavoro, delle competenze necessarie, né sindacati, né imprese hanno utilizzato il periodo di forzato rallentamento da Covid per proporre le necessarie iniziative di carattere formativo.
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Dilemmi del “Venetismo” forte

Pare interessante ritornare a distanza di molti anni, se non altro per vedere che effetto fa leggerlo oggi, su un intervento del 1994, di Alessandro Castegnaro e Paolo Feltrin, in quel tempo impegnati entrambi nella Fondazione G. Corazzin a studiare le trasformazioni socio-economiche del Veneto. In esso gli autori si interrogano sulla praticabilità, le condizioni e i rischi del “massimalismo federalista”, e provano a immaginare una via realisticamente percorribile, di “regionalismo possibile”. La loro posizione, scettica rispetto alla prima prospettiva dominante nel dibattito di quegli anni, era ed è rimasta del tutto minoritaria. A prevalere qui da noi, senza reali contrasti, fu nei decenni successivi una impostazione orientata a un “venetismo” forte, di giorno in giorno sempre più arrabbiato e rivendicativo, che gli autori considererebbero probabilmente acefalo e inconsapevole, oltre che inconcludente. Naturalmente si può non essere d’accordo con quanto essi sostenevano allora, ma i problemi che in quel testo venivano posti paiono essere ancora tutti lì e il fatto che essi non siano stati discussi e tanto meno risolti non è probabilmente senza effetti su quell’irrilevanza di cui qui intendiamo occuparci.
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L’epidemia diseguale

A margine, ma non marginale rispetto ai temi affrontati in questa Newsletter, offriamo un contributo di stretta attualità, sull’ampia tematica del covid. Un argomento peraltro non certo nuovo né estraneo al confronto e al dialogo da tempo avviato dal Forum.
Giorgio Dalle Molle, medico del Cuamm, numerose volte impegnato in Africa, presenta il numero della rivista “Salute e Sviluppo”, quadrimestrale di Medici con l’Africa, nella quale viene presentato un quadro delle disuguaglianze introdotte dalla pandemia da Covid 19. La rivista è consultabile sul web alla pagina:
https://www.mediciconlafrica.org/wp-content/uploads/2021/01/SeS_81_DIC20_dante.pdf
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