Dentro il conflitto saheliano

Il Liptako Gourma, la cosiddetta “regione delle tre frontiere” a cavallo fra Mali, Burkina Faso e Niger, negli ultimi anni è diventata la principale roccaforte jihadista dell’intero Sahel. Nonostante la sua strategica importanza, però, da questa zona infestata di gruppi armati, conflitti intercomunitari e operazioni militari, in Occidente arrivano pochissime informazioni, soprattutto a causa del difficile e pericoloso accesso per i giornalisti stranieri. Il rischio di rapimento – come successo al reporter francese Olivier Dubois, sequestrato dai jihadisti nel nord del Mali nell’aprile 2021 e tuttora prigioniero – è elevato anche per i giornalisti africani che cercano a fatica di raccontare uno dei conflitti più complessi e dimenticati del continente.

Nigrizia ha perciò deciso di pubblicare in queste pagine i reportage di Bassératou Kindo, giornalista del Burkina Faso fondatrice del media online al femminile MoussoNews e Cheick Bougounta Cisse, talentuoso reporter del giornale maliano Le Wagadou, che durante l’estate si sono recati rispettivamente nella regione di Ouahigouya e di Mopti, zone transfrontaliere dei due paesi dove è in corso una crisi securitaria e umanitaria senza precedenti. Qui i due giornalisti hanno raccolto le testimonianze delle autorità e delle comunità locali duramente provate dall’aumento degli sfollati interni e dalla militarizzazione della regione.

Il quadro che emerge dai loro scritti è quello di un territorio conteso da diversi attori internazionali e locali: gli eserciti africani, accusati di violenze sommarie e, da dicembre 2021, affiancati da mercenari russi del gruppo Wagner (fedelissimi di Putin); i militari francesi (e i loro partner europei) che, dispiegati dal 2013, ora si stanno velocemente ritirando; gli oltre 13mila caschi blu della missione dell’Onu (la Minusma), sempre più criticata da parte della popolazione locale; decine di sigle jihadiste legate ad al-Qaida nel Maghreb islamico o al crescente Stato islamico nel Grande Sahara; la galassia dei gruppi indipendentisti tuareg; le milizie etniche di autodifesa. Una “corsa al Sahel” che, esponenzialmente incrementata dopo la guerra nel nord del Mali dell’inizio 2013, ha spinto i gruppi armati a riposizionarsi e, dal 2015, espandere il proprio raggio d’azione a zone limitrofe, arrivando fino a minacciare paesi costieri quali la Costa D’Avorio, il Togo e il Benin.

L’inesorabile processo di stratificazione del conflitto saheliano traspare da ogni riga dei reportage di Bassératou e Cheick, che abilmente tratteggiano un racconto corale e “dall’interno” di una delle zone più calde del Sahel centrale. Un lavoro prezioso, reso possibile grazie al supporto delle ong italiane Engim Internazionale e Intersos nell’ambito del progetto “Aiuto d’urgenza alle popolazioni colpite dalla crisi umanitaria nelle zone frontaliere del Mali e del Burkina Faso”, finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo (Aics) di Dakar.