Una proposta di Luigi Viviani per ripensare il futuro dei cattolici in politica

Viviani, tra i fondatori con Ermanno Gorrieri e Pierre Carniti del gruppo dei “Cristiano Sociali”, già membro della segreteria Nazionale Cisl, poi senatore e sottosegretario al ministero del lavoro, si ripropone di riflettere sul ruolo che i cattolici potranno svolgere in politica. Non si può nascondere – egli dice – che il rapporto Chiesa-politica è sempre stato una questione difficile. Forse perché “la politica ha a che fare con il potere e questo va a toccare una prerogativa essenziale della gerarchia cattolica”. Oggi dobbiamo però constatare l’esistenza di una “vistosa contraddizione” tra la valorizzazione critica della politica operata da Papa Bergoglio e una certa “trascuratezza culturale e pastorale” che invece i vescovi italiani manifestano rispetto a questa dimensione dell’agire del cristiano.
Un problema che è sempre esistito – rileva poi Viviani – riguarda la qualità soggettiva dei cattolici che decidono di impegnarsi in politica. Esso si è aggravato in seguito al “divario e l’incomunicabilità tra rinnovamento religioso [postconciliare] e la realtà della politica”. Si è manifestata una “assenza di dialogo e di confronto tra cultura politica e cultura religiosa” che ha prodotto “un impoverimento generale”. L’effetto è stata una incapacità del laicato di rielaborare i doveri derivanti dalla propria fede in campo civico e politico.
Come ripensare allora il ruolo dei cattolici, in un quadro del Paese che si presenta particolarmente grave? Viviani è tra quanti pensano che, con la fine della DC e l’esaurirsi dello stato di cristianità, il cattolicesimo politico, l’idea cioè che la presenza dei cattolici possa risolversi attraverso la mediazione di un partito di ispirazione cristiana, non sia più proponibile. Si tratta invece di “ripensare alla radice il rapporto tra cattolici e politica”, sapendo che oggi la loro presenza non può che manifestarsi in diverse formazioni politiche “senza nostalgie separatiste e identitarie”. Ma chiarendo però anche che “la militanza in tutti i partiti non è ugualmente legittima”.
E si tratta di ripensare questa presenza a partire dalle “esigenze strutturali del sistema politico” che ad avviso di Viviani sono essenzialmente due: “ridare rappresentanza politica autonoma agli elettori di un’area centrale oggi fagocitata” da una destra “rancorosa e antieuropea”; contribuire al rinnovamento della sinistra liberandola dai suoi condizionamenti ideologici.
Viviani cerca perciò di delineare quali potrebbero essere i connotati culturali e politici di una nuova generazione di politici cattolici che vede impegnati:
nella costruzione di una forza di centro dotata di “una identità costituzionale e antifascista” ben definita, orientata a un “liberalismo socialmente aperto” che le impedirebbe di praticare “una deleteria politica dei due forni”. In sintesi “un partito di centro che guarda a sinistra”;
nella rifondazione di una sinistra “democratica, riformista, di governo”, impegnata nella lotta contro le disuguaglianze e nella formulazione di un modello di sviluppo sostenibile.
Più difficile è dire – a suo avviso – se nella destra si manifesteranno in tempi ragionevoli “posizioni più qualificate e responsabili”, di cui pure vi sarebbe grande bisogno.
Viviani vede infine la necessità di una riconciliazione della Chiesa con la politica “che la assuma concretamente nell’azione pastorale”. Essa dovrebbe in questo senso impegnarsi in “un compito di evangelizzazione e di formazione culturale”. Le attuali “scuole all’impego sociale e politico appaiono “insufficienti”, perché “lasciano irrisolto il rapporto tra principi e realtà”. Se “l’obiettivo è preparare una nuova classe dirigente” si dovrebbero predisporre strumenti formativi all’altezza di questo compito impegnativo.

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