Contributo di Stefano Bertin

Alle tante e interessanti esperienze che abbiamo condiviso, mi permetto di apportarne un’altra che riguarda l’ambito formativo. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha visto molte scuole creare momenti e luoghi assembleari dove conoscere e confrontarsi su questa tragedia. Alcun istituti hanno dato vita ad iniziative di sensibilizzazione, in particolare nella raccolta di alimenti o denaro a favore dei rifugiati. In questo irrompere dell’attualità nel percorso scolastico però si è creata la possibilità di un vulnus.

Mi spiego. Nel dibattito generale, alimentato anche da quasi la totalità dei media, le posizioni si sono radicalizzate. Alla doverosa condanna dell’invasione e distruzione dell’Ucraina da parte della Russia, molti sembrano essere passati ad una chiamata alle armi. Si sono messi l’elmetto e sembrano preoccupati non tanto di aiutare a trovare una soluzione alla tragedia, quanto a scovare e denunciare chi con i suoi distinguo di fatto nasconde una partigianeria per l’aggressore (vedi l’ingiustificato e spropositato attacco di Rampini al direttore dell’Avvenire, Tarquinio, definendo il suo intervento “ignobile” e “al servizio di Putin”).

Questo atteggiamento maggioritario (favorito indirettamente anche da un certo “fronte pacifista”, che arriva quasi ad accusare Nato, Usa e Ue d’aver provocato la crisi!) sostiene con forza la liceità, anzi la necessità (pena la complicità con l’aggressore) di utilizzare la via delle armi per la risoluzione dei conflitti. La riprova sta nel fatto che la linea predominante nemmeno ipotizza né tantomeno richiede l’azione dell‘ONU, per un eventuale invio di osservatori o di una forza armata neutrale e di interposizione (la quale si inscriverebbe, all’interno del diritto internazionale, quale uso proporzionato della forza, per difendere un popolo invaso e massacrato); quanto presentare tout court la guerra quale possibile e praticabile prolungamento della politica con altri mezzi, offuscando nelle coscienze in formazione dei futuri cittadini italiani il RIPUDIO costituzionale della guerra:

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” (articolo 11)

Sarebbe paradossale che proprio negli anni in cui si sta rilanciando l’educazione civica nelle scuole, che trova nella Costituzione la sua centralità, si condividessero acriticamente all’interno delle classi posizioni che la negano.