Seminario interno del Forum di Limena sull’ipotesi di un Sinodo per l’Italia

Sintesi della discussione dopo l’introduzione di R. Tommasi                                                     

 Interventi dei partecipanti

*Se è importante il processo, tocca andare alle non felici esperienze passate. In occasione del sinodo della famiglia, un lavoro fatto con molta passione da un gruppo di cui facevo parte è rimasto lettera morta, una volta inviato alle istanze superiori. Il percorso di coinvolgimento non è stato curato e valorizzato. Esso va invece preparato, condiviso, declinato concretamente. Ci si deve proporre anzitutto: come dare voce effettivamente ai battezzati, come riscontrare che non resti elemento virtuale del processo.

 *Il mezzo è il messaggio. E dunque il metodo costituisce il problema chiave. Da come si imposta il percorso sinodale si evidenzierà se c’è stato un cambio del modo di intendere e praticare l’autorità, la cui modifica non sarà frutto della decisione finale, ma anzitutto nella realizzazione del percorso. Va colta la differenza tra comandare e facilitare i processi, discernere i carismi. A partire dalla Evangelii Gaudium, va compresa e sviluppata la portata del nuovo approccio del papa alla complessità. Bisogna fare i conti con le differenze all’interno del popolo di Dio, sarebbe la prima volta che ci si interroga seriamente su questo.

 *Aquileia 1 e 2, i due convegni ecclesiali del Triveneto, sono state due esperienze di tipo sinodale, ma con esiti diversi. Nel secondo caso non sono stati nemmeno pubblicati i risultati. Nella mia diocesi ci sono state nel recente passato due diverse esperienze sinodali. La prima, diverso tempo fa, che ha visto un processo e dei risultati “preconfezionati” ribaltati dal lavoro di alcuni preti, con risultati interessanti sulla vita della chiesa e il rapporto con la società e la cultura del tempo. La seconda che ha visto un cammino senza esiti prefissati, che ha coinvolto seriamente le comunità, in particolare i laici, ma che non ha avuto seguito adeguato, per il covid e… il cambio del vescovo. Si tratta ora di ricominciare da capo? O non sarebbe meglio riprendere da dove si era arrivati?

Dentro le nostre chiese ci sono diversità di posizioni, soprattutto quelle riconducibili ad alcuni movimenti e associazioni, che è difficile tenere insieme. Va presa sul serio la pluralità, sia territoriale che trasversale. C’è da sperare in un cammino sinodale “imprevisto” e da temere un cammino che esaurisca definitivamente la credibilità del processo.

 *Sono importanti le regole ed è importante conoscere e applicare le procedure che riguardano il come si presentano e si votano documenti ed emendamenti. Al sinodo sulla famiglia sono trapelate divisioni drammatiche, che sono state composte grazie a queste procedure. Le stesse regole valgono anche agli altri livelli? La gente per sentirsi coinvolta deve poter contare, deve poter esprimersi e alla fine votare.

Nella nostra diocesi è avviato un cammino sinodale, che suscita interesse e riguarda la radicale riorganizzazione della diocesi, a partire dal calo dei preti e delle risorse. Come intrecciare questo percorso con quello nazionale? Che incidenza avrà nelle diocesi quanto emergerà a livello nazionale, visto il peso decisivo dei singoli vescovi a livello locale?

 

Interlocuzione di don Roberto

Il sinodo dei vescovi ha un suo regolamento abbastanza collaudato. Ciò che semmai il papa sollecita è la franchezza di dire quel che si pensa in coscienza. Nel prossimo sinodo, se la priorità sarà l’ascolto, bisognerà affinare queste regole.

Quanto al rapporto tra consultazione e assunzione di decisioni, va ricordato che ogni sinodo è costituito da tre fasi: preparazione consultazione, nella quale ai vescovi vengono mandate delle questioni, che sono invitati a sottoporre alle loro comunità e sulle quali rispondere in vista della preparazione del documento preparatorio; celebrazione dell’assemblea sinodale, composta da vescovi, quella universale e da vescovi e laici, nelle chiese particolari, che predispone delle proposte, affidate a chi ha il potere di prendere le decisioni, il papa o il vescovo diocesano; attuazione e verifica, che purtroppo a volte non si realizza.

Sinodo nazionale e sinodi diocesani. Il vescovo diocesano è il pastore della sua comunità e ha una responsabilità e un potere maggiore rispetto alla conferenza episcopale nazionale. Un sinodo nazionale serve a ricordare che ogni chiesa locale non cammina da sola, ma in comunione con le chiese sorelle. Tra le quali vale lo stesso accogliersi tra fratelli e sorelle, che vale all’interno delle singole comunità. Il vescovo è pastore della sua chiesa, ma con il collegio dei vescovi e il papa porta la responsabilità per tutte le chiese.

Le differenze nella chiesa vanno affrontate con serietà e umiltà, anzitutto realizzando conoscenza e scambio, che non risolveranno il problema, ma consentiranno di fare dei passi di avvicinamento. La dimensione nazionale e universale del sinodo dovrà usare flessibilità, per integrare le legittime differenze. Nessuna chiesa, nella cattolicità, è autocefala. È libera e ha il suo spazio, ma nella comunione con le altre. Questa consapevolezza potrebbe essere il valore aggiunto di un processo sinodale nazionale.

 

Altri interventi

 *La chiesa del futuro o sarà sinodale o non sarà, perché solo nella forma sinodale essa può sperimentare un evento dinamico di comunione e comunicarlo. Siamo a un trapasso epocale e il papa coglie che l’identità delle chiese sarà riconducibile a una unità nella molteplicità, secondo l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Questo confido possa permettere di reagire allo sgretolamento della pastorale tradizionale e alla privatizzazione della fede e consentire il superamento del peso enorme delle strutture burocratiche diocesane, a favore di processi relazionali più vitali. Un’intuizione decisiva per il futuro della chiesa cattolica in occidente, quantomeno. La sinodalità potrà contribuire alla costruzione di un’identità condivisa, che reagisca ai processi di centrifugazione in corso.

Negli ultimi settant’anni, ci sono stati molti sinodi diocesani, frutto dell’impulso conciliare. Ora tocca un salto di qualità, con un sinodo della chiesa italiana. Sarà una cosa più complicata, a partire da come si rappresenteranno, oltre ai vescovi, tutte le componenti del popolo di Dio e da come verranno selezionati i rappresentanti. Sarà importante innescare una sinodalità periodica, non occasionale, ma permanente, se si vuole ripensare l’identità della nostra chiesa e dar forma a una chiesa nuova. Va posta molta cura infine all’attuazione delle decisioni nel tempo, evitando che a ogni cambio di vescovo si blocchi tutto e si ricominci da capo.

 *Metodo è sostanza e la permanenza nel tempo del processo che inizia è decisiva. Il tempo si è fatto breve, se si vuole evitare l’inaridimento del cristianesimo. Tocca superare il continuo stop and go degli ultimi trent’anni ed entrare in una prospettiva di “meticciato”, perché sinodalità deve significare anche superamento dell’uniformità.

Accanto ad Aquileia e ai sinodi diocesani inabissati, c’è stato il sinodo per l’Amazzonia, partito con molte aspettative e bloccato dal papa stesso sulla questione dei viri probati. Qui è in ballo, insieme alla sinodalità strutturale, il concetto stesso di cattolicità, che non può essere uniformità. Luigi Sartori ci ricordava che fin dal medio evo coesistevano posizioni decisamente diverse, basti pensare alla vicenda degli ordini religiosi, con la rivoluzione introdotta da san Francesco, che ne rilanciava l’identità laicale. Se cattolicità vuol dire uniformità, di messale, di diritto canonico e via dicendo, non andremo lontani.

Siamo in ritardo e il papa lo colma piazzando periodicamente qualche forzatura, sui ministeri, sulle donne nel governo della chiesa. Per recuperare non sarà questione solo di metodo, né solo di contenuti, ma di entrambi. Paradossalmente sulla coscienza di sé della chiesa in rapporto al mondo siamo messi meglio, più complicato passare alla riforma interna, ripensando al concetto di comunione cattolica. Urge farlo per evitare la desertificazione delle parrocchie e la depressione dei preti, quelli che rimangono.

*Mi chiedo come nella mia diocesi si realizzerà il confronto con i tanti battezzati che non frequentano la parrocchia, i cristiani della domenica e quelli che per vari motivi hanno interrotto i rapporti. Già prima della Chiesa in uscita di papa Francesco, la Gaudium et Spes conciliare sollecitava a condividere le gioie e le speranze degli uomini d’oggi. Paradossalmente più si rende manifesta la fine della cristianità, più le comunità sembrano rinchiudersi nei loro recinti, per l’invecchiamento di preti e laici impegnati, per l’inadeguatezza rispetto alle sfide della contemporaneità, per gli abiti mentali acquisiti in un tradizionale regime di cristianità.

La questione non è che le persone e i giovani in particolare non vanno a messa e non partecipano agli incontri in parrocchia, ma piuttosto che non si partecipa al dibattito pubblico, sui temi economici, politici e sociali. Serve un radicale cambiamento di rotta per uscire dal recinto, altrimenti si rischia l’insignificanza. Il Papa stesso a Firenze nel 2015 invitava a condividere percorsi per costruire insieme agli altri, per fare qualcosa insieme. Questo è decisivo per il futuro della chiesa, se non vuole vivere, come dice Theobald, una vita settaria irrilevante, ma diventare significativa minoranza missionaria, all’interno della nostra società europea.

*È stato messo in evidenza un felice paradosso: i processi di cambiamento sono spesso un ritorno alle origini. Ghislain Lafont diceva che il Concilio è stato un inizio e bisognava svilupparlo, non solo recepirlo. La sinodalità può rappresentare questo sviluppo. Allora tocca porre molta attenzione all’ascolto, in tutte le sue dimensioni. Ascolto della storia, cioè capire e studiare quel che si muove intorno. Ascolto tra di noi e ascolto dello Spirito, il soggetto “terzo” che fa la differenza qualitativa di un processo sinodale, che rende possibile ospitarci reciprocamente, nelle nostre diversità, in una comune obbedienza alla Parola. Se non si entra in questa prospettiva tutto resta rigido, la nostra teologia e la nostra morale e saranno sempre meno comprensibili alle donne e agli uomini d’oggi.

Per poter contare davvero sul “senso della fede dei fedeli”, spesso invocato dal Papa, bisogna attrezzare tutti i credenti a una effettiva confidenza con la Parola di Dio. Bisogna che essa diventi anima della liturgia, della preghiera e della catechesi. La Parola di Dio è nutritiva, efficace, mentre catechismi e devozioni, ne rappresentano spesso il surrogato. Nella stessa prospettiva va ripensato il ruolo della gerarchia e dei pastori. In un popolo che si nutre della Parola, che prega e celebra insieme, i pastori hanno una funzione di responsabilità sussidiaria.

Bisogna partire dal basso, si è detto. Non può essere solo dalle parrocchie o dai loro organismi, sarebbe riduttivo, anche perché spesso sono parte del problema. Lo stesso può valere per le associazioni laicali o quel che ne rimane. Sui contenuti, accanto alle tematiche interne, ci sono temi che urgono, vere emergenze del nostro tempo, su cui anche i cristiani spesso si dividono, ad esempio: i migranti e la loro accoglienza, la diversità delle culture con cui fare i conti e la condizione delle famiglie, oltre la retorica familista. Di questo come Forum di Limena ci siamo occupati e questo esige una nostra responsabilità. Siamo di fatto un’esperienza di sinodalità e questo comporta che continuiamo la nostra riflessione e offriamo il nostro contributo al processo sinodale avviato.

*Serve una profonda conversione pastorale, per far fronte alle grandi differenze dentro la chiesa e al rischio di privatizzazione della fede. C’è una parte dei fedeli a cui non interessa il cammino sinodale, che è rassicurata dalla propria esperienza di riferimento, che più chiusa è più funziona. Come coinvolgerli? L’unica esperienza che noi abbiamo finora di sinodalità a livello triveneto e nazionale sono i convegni: i convegni hanno retto grazie al protagonismo degli organismi ecclesiali di partecipazione e alle associazioni laicali di riferimento per la pastorale. La domanda da porsi allora è: come stanno gli organismi pastorali oggi, come stanno le parrocchie dopo il covid? Che impatto sulle nostre comunità? Quali sono i luoghi di riflessione ed elaborazione, dove e come si fa sintesi?

Come affrontare la difficoltà nelle nostre chiese a vivere in modo non violento il conflitto. C’è paura del conflitto e questo ha sterilizzato il confronto, evitando di affrontare alcune questioni cruciali, attendendo e affidandosi a una risposta dall’alto. Dovrebbe succedere come in Germania, dove sono venute a galla le fratture all’interno della chiesa, anche tra i vescovi. La paura del conflitto crea comunità monotone, rinchiuse in se stesse.

Bisogna credere e operare perché il futuro sia sinodale, sperando che non sia troppo tardi. Da Aquileia 2 sono passati anni e le nostre comunità si sono sfilacciate e diradate. Il covid ha accelerato processi in atto, a partire dalla partecipazione sempre più ridotta alla liturgia e alla catechesi. Dobbiamo partire da un atto di verità e di coraggio, guardarci per quel che siamo realmente, per ricostruire e rinvigorire luoghi di comunione, di pensiero e di dialogo, accettando di vivere costruttivamente conflitto e diversità.

Una conclusione e un rilancio

Da stamattina mi frulla in testa in continuazione la parola “ritardo”. Voglio dire che si arriva a questa discussione dopo troppe dilazioni, quando tanti se ne sono andati e le diversità si sono di molto approfondite. E questo è avvenuto perché ci sono state esperienze negative di dialoghi mancati.

La riflessione intorno al sinodo evidenzia difficoltà, contrasti e problemi di non facile soluzione, a partire dall’individuazione del soggetto. Chi fa cosa, chi si assume la responsabilità, chi ne ha la competenza?

La nostra discussione è stata ricca e dovremo decidere se e come far conoscere quanto è emerso, senza escludere la possibilità di un momento pubblico dedicato al tema. Continueremo così a interpretare il compito che ci siamo trovati a svolgere: essere un luogo di incontro, di confronto e di scambio.

 

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