LA RICERCA DI UN NUOVO EQUILIBRIO

Fede e Politica sono due espressioni complementari del genere umano.

La discussione su quale debba essere il rapporto legittimo fra fede e politica è spesso caratterizzata da un perimetro indefinito e pregiudizi ideologici. Per condurre una analisi che mira alla condivisione del metodo, senza nessuna pretesa di convergenza sulle conclusioni, partiremo da un cardine/vincolo comune: la nostra Costituzione. Come di recente autorevolmente ribadito, l’Italia è uno stato laico.  Pur senza usare il termine laico, all’articolo 7 si statuisce che: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani e l’art 8 cita: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge…hanno diritto di organizzarsi…in quanto non in contrasto con l’ordinamento giuridico. Criteri simili li ritroviamo anche nelle Carte di altri Paesi a matrice democratica come Francia e Stati Uniti; è dunque un pilastro culturale dell’area occidentale che non va rimesso in discussione. Questa laicità però è spesso utilizzata per giustificare posizioni negazioniste a che ci sia una attività politica militante dei cattolici e questo ci pare un sillogismo, una conclusione arbitraria. Infatti, due sono gli aspetti da sottolineare: uno abilitante ed uno limitante.  Quello abilitante è che ogni organizzazione (e dunque anche i cattolici ma non solo e persino il singolo) ha diritto a perseguire i precetti della propria fede e dei relativi valori; quello limitante è che le proprie azioni non contrastino le norme o limitino gli stessi diritti ad altri. E’ la base della democrazia. La laicità dello Stato (ovvero la neutralità in campo religioso) non può immaginare che portatori di valori comuni rinuncino ad una loro declinazione politica.

Oggi è un vulnus, qualcuno arriva a dire una iattura, che i cattolici non riescano a coagularsi attorno ai loro valori tradizionali per sviluppare una azione politica anche solo mediata. Ci sarebbe bisogno di una serena analisi del perché; ignorare l’origine dello status quo non consente una azione consapevole. Senza entrare in troppi dettagli, negli ultimi decenni la politica nazionale ha subito una continua emorragia di valori; come conseguenza abbiamo avuto un drammatico ridimensionamento degli orizzonti progettuali. Per fare un esempio, sono sparite le scuole di partito ed in parallelo si è selezionata una classe politica adeguata ai tempi (l’incompetenza al potere); e forse non sarà per caso se ci ritroviamo con 2.700 miliardi di euro di debito pubblico. Il rimedio ad una emorragia non può che essere una trasfusione (di valori e ideali).

Il momento di profondi cambiamenti che stiamo attraversando (non solo in Italia) suggerisce che sia proprio questo il momento per cercare di recuperare il senso di comunità dei cattolici, vincendo i distinguo e stringendosi attorno ai più profondi motivi di inclusione.  Fra l’altro l’attuale quadro politico dimostra difficoltà crescenti nel gestire la rappresentanza preso com’è a tenaglia fra fragilità intrinseche e sfide epocali/globali (web/digitale) che nessuno è ancora preparato a gestire in maniera compiuta. Ma attenzione: la chiamata a raccolta dei cattolici deve avere in agenda come punto qualificante ed aggregante la delega di rappresentanza politica; a motivazione basterebbe elencare quello che abbiamo perso per ignavia scivolando verso un agnosticismo morale o che non osiamo più sperare: una Politica partecipata ed esercitata dai cittadini in spirito di servizio.

La politica è una necessità organizzativa della società; praticarla dovrebbe essere un’ambizione ed un onore di ogni cittadino al pari dell’esercizio delle arti e professioni più nobili. Fermo restando che i cattolici non sono i soli depositari di valori e modelli di vita virtuosi, il perché ed il come realizzare questo riavvicinamento fra Fede e Politica è materia complessa e delicata da trattare. Pochi dubbi che si debba: è indispensabile la partecipazione più ampia alla gestione della cosa pubblica, potendo fra l’altro contare sulla infinita gamma di livelli di coinvolgimento secondo vocazione e competenze. Ancorché non vadano sottovalutate le difficoltà oggettive come, per esempio, gli equilibri consolidati che possono dare l’impressione, persino ai cattolici, che si rischi di perdere qualcosa a tentare di modificarli; da cui potrebbe derivare con buona probabilità di essere fatti oggetto persino da fuoco amico. È il momento non solo di ri-formare ma, come dice qualcuno di più autorevole, di tras-formare; avendo ben presente che è un programma con ritorno a lungo termine mentre il confronto è con una politica corrente che premia (o almeno promette) a vista.

Qualche parola sul come. Oggi abbiamo visto che c’è una grande voglia di cambiamento; non entro nel merito sulle sue origini; sta di fatto che in maniera repentina si riescono a spostare masse elettorali notevoli. Voti che si muovono spesso in maniera erratica ma che difficilmente si fidelizzano mettendo radici durature. Il progetto di riaggregare i cattolici attorno ad una base valoriale comune che potrebbe avere una spendibilità politica è una cosa diversa ma che comunque con questi modelli di generazione del consenso di oggi deve fare i conti. In itinere, esistono diversi progetti che tentano di lavorare in questa direzione; ciascuno con le sue specificità che sfidano il rischio di polverizzazione e mancanza di significanza oggettiva. C’è chi parla di federare queste iniziative non osando pensare di fonderle. A mio avviso occorre creare una piattaforma snella di pochi punti/significativi/qualificanti; fondarla su una “laicità programmatica” capace di includere chi persegue gli stessi ideali pur partendo da basi culturali diverse. E’ necessario mettere in campo strumenti, risorse nuove e quelle dormienti che consentano il raggiungimento di una massa critica capace di testimoniare efficacia/credibilità dell’iniziativa. E’ vero, siamo in una epoca di dispersione e personalismi ma comunque ancora oggi gli individui sentono la necessità di ricercare un senso di appartenenza da cui sentirsi sostenuti e protetti; a patto che siano soddisfatte due condizioni minime: che siano coinvolti in qualcosa di concreto che dia un ritorno morale e, possibilmente, anche materiale; che si sentano protagonisti. Il mondo dell’impresa che vince ha scoperto da tempo il concetto di partecipazione che sostiene e premia non solo con enunciati di principio ma in concreto con la condivisione di programmi/responsabilità/ritorni che, ai miopi, può sembrare una perdita di sovranità ma che invece è l’unica strada per vincere la sfida globale. Magari anche la Politica un giorno riuscirà a trovare la maniera per aprire le porte, sembra un paradosso, a chi rappresenta.