Contributo di Maurizio Carbognin

  1. Il senso dell’iniziativa odierna mi sembra rilevante in sé, e non mi chiederei “se serve a qualcosa”. Anche in questa circostanza, dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, mi sono scoperto, nella mia grande ingenuità e malgrado i 75 anni, a meravigliarmi che il pensiero binario, del quale abbiamo fatto indigestione durante la pandemia, si riproponesse pari pari, talvolta nelle stesse persone. Certo, la guerra favorisce la semplificazione amico-nemico, ma la pace, alla quale tutti diciamo di agognare, non potrà mai essere raggiunta all’interno di quell’universo di pensiero. Quindi ogni iniziativa, anche piccola, che ci consenta di ragionare in modo articolato della situazione, come ha fatto Castegnaro nella sua bella introduzione, non solo fa sentire meno soli chi, come noi, rifiuta le semplificazioni superficiali, ma può fornire un piccolo contributo alla diffusione di una cultura di pace ancorata solidamente ad un pensiero critico e forse anche più efficace dal punto di vista propositivo.

 

  1. Si è fatto un gran parlare in questi giorni delle motivazioni “geopolitiche” o “geostrategiche” della guerra. Giustamente sia Castegnaro che De Sandre hanno sottolineato il peso delle motivazioni culturali e “identitarie”, del processo di “riscoperta” delle etnie. Basta leggere l’articolo di Putin dell’estate 2021, tradotto da varie testate nelle settimane scorse: vi è contenuto un “programma” di ricostruzione della “Russia eterna”, che sembra trovare nella attuale guerra una prima fase di realizzazione. Tuttavia proprio quell’articolo, per come è stato criticato dagli storici dell’Ucraina e della Russia, ci ricorda che molte identità etniche hanno fondamenti storici piuttosto fragili e sono spesso casi emblematici di quella che Hobsbawm chiamava “l’invenzione della tradizione”. Quando poi un’identità locale viene assunta e legittimata a livello istituzionale, frequentemente in modo manipolatorio, la sua diffusione e condivisione da parte degli abitanti avviene in modo generalizzato e veloce, fino a diventare senso comune. Non occorre andare nelle lontane Russie, basta pensare alla nascita e all’affermarsi dell’“identità veneta” a partire dalla nascita delle istituzioni regionali negli anni ‘70.

 

  1. Sono rimasto sorpreso, e non solo io, dall’andamento della campagna bellica condotta dalla Russia. E’ emersa con chiarezza (fortunatamente?) una debolezza di pianificazione e organizzazione, indice, mi pare, di una classe dirigente militare e politica di bassa qualità. Sarebbe interessante capire meglio le origini di tale debolezza, che caratterizza anche le strutture economiche di quel paese. Non basta attribuire le colpe al sistema autocratico (corrotto e impermeabile alle informazioni che vengono dal basso e dall’esterno): la classe dirigente cinese, che non vive certamente in un contesto democratico, ha caratteristiche di ben diversa qualità. Forse, ancora una volta, torniamo al diverso contesto culturale e formativo.

 

  1. Credo sia utile distinguere le prese di posizione sull’invio degli aiuti militari all’Ucraina da quelle sull’aumento tendenziale delle spese militari: quest’ultimo, senza un processo vero di miglioramento della spesa, di riorganizzazione dell’apparato e soprattutto di integrazione tra eserciti dei paesi UE finirebbe per essere un (inutile?) regalo alle industrie delle armi. E d’altra parte una riorganizzazione e integrazione delle forse armate nazionali potrebbe rendere possibile una diversa valutazione delle risorse finanziarie necessarie.

 

  1. Infine, l’aspetto più importante, le prospettive. Credo vada sottolineata la conclusione di Sandro: se non si riesce ad imporre abbastanza rapidamente una via di uscita negoziale ai contendenti, la prospettiva di riprendere comportamenti cooperativi nelle relazioni internazionali rischia di allontanarsi sine die. Le emergenze planetarie all’orizzonte (crisi climatica e ripresa eventuale della pandemia/di altre pandemie), come abbiamo visto, non possono essere affrontate autonomamente dagli Stati nazionali e nemmeno dai “blocchi” (occidente, “oriente”). Occorre che chi punta a “punire” la Russia (o spera ancora in un tracollo dell’Ucraina) ne sia consapevole: ricordiamo, tra l’altro, le conseguenze tragiche delle scelte punitive di Versailles. Questo va fatto presente anche al pacifismo radicale, che sembra promuovere più comportamenti pacifici unilaterali, che processi negoziali orientati alla pace. Un’attività di sensibilizzazione in questa direzione può, credo, avere una significativa utilità.