Lettera sinodale

Care sorelle e cari fratelli in Cristo,

è in corso la fase “narrativa” del cammino sinodale delle Chiese in Italia. Questo percorso si inserisce e si svolge in un più ampio e profondo mutamento storico: «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti – ha lucidamente affermato papa Francesco – ma è un cambiamento di epoca». Basta riflettere sulla rivoluzione digitale, sulle imponenti migrazioni, sulla transizione ecologica. In questo contesto, la Chiesa non può stare ferma, prolungando la prima, selettiva ricezione pastorale del concilio Vaticano II: oggi ogni Chiesa locale è chiamata a muoversi, a camminare insieme. Lo impongono anche i dati: per esempio, negli ultimi cinquant’anni nella diocesi di Trento i preti sono diminuiti di oltre il 60%.

Questa lettera è il frutto delle riflessioni di un gruppo sinodale sui generis, composto da due sole persone, che a partire dai loro vissuti hanno meditato a lungo sulla loro esperienza di Chiesa, presentando poi le loro preoccupazioni ad altri: laici, preti e religiosi, uomini e donne, giovani e adulti. Grazie a questi incontri la nostra stessa percezione di quel che è oggi la Chiesa locale è in parte mutata e anche noi non vogliamo che la Chiesa assolutizzi se stessa, «dimenticando di essere solo testimone della vita “altra” del Maestro», come dice il nostro vescovo nella lettera di inizio Quaresima.

Proponiamo dunque il risultato di tale cammino come contributo di discernimento alla prima fase sinodale. La nostra riflessione si muove tra due poli: da un lato i desideri costitutivi dell’essere umano, quelli che non passano e aprono alla dimensione del mistero; dall’altro la ricerca di un nuovo modello pastorale, rispettoso della diversità delle situazioni, in particolare tra le valli e i centri maggiori, ma coerente con un’identità ecclesiale sinodale e incarnata nel nostro tempo. Non indichiamo obiettivi da raggiungere, ma cinque direzioni prioritarie verso le quali incamminarci sperimentando, senza la pretesa di dire tutto il necessario.

  1. L’iniziazione umana e cristiana dei bambini, come oggi viene praticata, è una possibilità ereditata dal passato, ma non può essere la prima preoccupazione e soprattutto non può essere un modello. È il Rito dell’Iniziazione Cristiana per gli Adulti a farci da guida, e non solo perché sono sempre più gli uomini e le donne, ricomincianti e non, ad accostarsi alla fede cristiana in età adulta. La fede in Gesù Cristo è una cosa seria e ha a che fare con la dimensione adulta e profonda dell’esistenza. Se vogliamo testimoniare il significato pieno della vita, portato da Cristo nel mondo, dobbiamo saper usare, insieme ai Vangeli e alla preghiera, le nostre migliori capacità nella riflessione e nell’espressione di ciò che la fede in Cristo è e comporta, con parole incarnate e piene di umanità che gli uomini e le donne del nostro tempo possano comprendere per incontrare realmente il Signore. Il Rito insiste molto su questo punto, prevedendo anche un percorso di maturazione che può durare «diversi anni». È in questo respiro così umano e ampio che può rivelarsi la maternità della Chiesa (e quanto sarebbe preziosa la presenza femminile in questo campo!). Qualunque passo sia stato fatto in passato per legittimare l’indolenza, sottovalutare l’ignoranza, scusare la mediocrità ci ha portati più lontano da Dio e ha reso vuote le parole dell’annuncio cristiano rivolte agli adulti.
  2. È nell’ascolto comunitario della Parola di Dio che ritroviamo le parole che ci uniscono e ci confortano e sarebbe una grande ricchezza se a tenere l’omelia fosse talvolta una donna. È nello spezzare il pane, ringraziando il Padre per i suoi doni, che si rende presente Gesù. Il concilio Vaticano II ha ricollocato la Messa, Pasqua settimanale, al centro della vita cristiana e dell’identità ecclesiale, ma la traduzione dei testi non è bastata. Professione di fede, vita quotidiana e liturgia, che dovrebbero alimentarsi a vicenda, continuano a non comunicare abbastanza. Va fatto ogni sforzo per rendere partecipato e vissuto il Giorno del Signore: a cominciare dal momento dell’offertorio, dove dovrebbe essere più chiaro che lì i credenti in Cristo condividono i loro beni e li offrono al Padre e che da quella offerta nasce il sacramento della comunione con Dio e tra di noi, che culmina nella consacrazione del pane e del vino, «frutti della terra e del nostro lavoro». È una contraddizione solo apparente invocare la centralità di una Messa vissuta mentre i preti diminuiscono. Il problema non è drammatico come nelle Chiese locali di altri Paesi e le soluzioni possono essere diversificate. Ma stiamo molto attenti ad accorpare le parrocchie senza il consenso convinto delle comunità che ancora le vivono, comunità che possono giungere a questa meta solo attraverso un adeguato cammino di maturazione ecclesiale.
  3. Le comunità di vita e di affetti affondano le loro radici nei desideri più intimi e ineliminabili del cuore umano e insieme fanno parte del disegno divino: ovunque le persone scelgono di stringere legami di coppia, a qualunque forma giuridica o tradizione culturale facciano riferimento, Dio è misteriosamente presente, e lo è in modo tanto più forte quanto più queste unioni nascono da un consenso libero, sono improntate al rispetto e alla cura reciproca, danno seguito alla benedizione divina rivolta a tutti nell’Eden. Il matrimonio cristiano è ancora di più e altro, è stato collocato al vertice di questo specifico disegno, perché diventa segno e strumento della comunione tra Cristo e la comunità di coloro che credono in Lui, un segno realmente profetico e per questo incompreso in una società in cui l’amore è cercato, ma desacralizzato, distorto, banalizzato e i legami affettivi sono spesso fragili. La fedeltà di cui danno una testimonianza, tutt’altro che facile, le coppie cristiane è un dono inestimabile che rende visibile e presente l’amore di Dio non solo per i due coniugi, ma per ogni uomo e per ogni donna che essi incontrano. Questo dono andrebbe riconosciuto e maggiormente valorizzato anche attraverso il conferimento stabile di specifici compiti pastorali coerenti con il sacramento che le persone hanno ricevuto, mentre la preparazione al matrimonio sarà sempre più un cammino a tappe.
  4. I cristiani credono nella resurrezione dei morti, non nell’immortalità dell’anima. In una società che banalizza e rimuove la morte, e considera il corpo imperfetto e morente una sciagura, la fede ci accompagna oltre ogni umana disperazione e annuncia un futuro in cui la nostra umanità – tutta la nostra umanità – troverà il senso compiuto della sua esistenza. Il morente non deve dunque essere lasciato senza parole e gesti di affetto; il congedo dal defunto deve sentir proclamata la fede nella resurrezione; l’accompagnamento di chi resta può diventare occasione per una ricerca di fede. È possibile che, come già accade altrove, venga istituito un apposito ministero?
  5. La Chiesa vive e respira nella compagnia degli uomini e delle donne del nostro tempo. Non servono molte parole per ricordare quanto sia urgente la ricerca di nuove vie per abitare il pianeta: serve una grande mobilitazione delle intelligenze e delle migliori qualità umane. Nessuno può chiamarsi fuori, né dalla responsabilità di quanto sta avvenendo né dalle sue conseguenze. Mai come ora, nel volgere di una generazione, periremo insieme o ci salveremo insieme. Salvarci non sarà facile, perché la fraternità si impara a caro prezzo e l’alternativa drammatica sarà subire tutte le conseguenze della sua mancanza. Papa Francesco ha scritto al riguardo, già qualche anno fa, un’enciclica profetica, che chiede di essere letta e accolta con un coinvolgimento operoso. Vorremmo, tra l’altro, che la nostra Chiesa riflettesse sull’uso delle risorse finanziarie, per fare in modo che non prevalgano «una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente» (Laudato si’, 56): servono orientamenti che diventino sia una parte dell’annuncio in campo morale, sia una direttiva per coloro che amministrano le risorse di cui diocesi e parrocchie dispongono.

Non pochi giovani ci guardano restando sulla soglia, incerti sul destino stesso della fede cristiana. Siamo però sicuri che lo Spirito soffia comunque nel cuore degli uomini dove e come vuole e che Dio è capace di suscitare figli di Abramo anche dalle pietre. E vorremmo che, nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, scrutando «i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (Gaudium et Spes, 11), trovassimo il modo di rispondere alla nostra vocazione di essere una Chiesa fedele al Vangelo e incarnata nella storia.

Trento, gennaio-marzo 2022

Pubblicato nel sito della Diocesi di Trento

Emanuele Curzel (Pergine), docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese, presso l’Università degli Studi di Trento

Paolo Marangon (Rovereto), vice-direttore del Centro Studi “Antonio Rosmini”, presso l’Università degli Studi di Trento