Il conflitto Russo-Ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale

Proverò a parlare della guerra fra Russia e Ucraina da una prospettiva geo-politica più generale, che interpella in modo forte l’Italia e gli altri paesi occidentali. A mio avviso, i punti cruciali sono due: il contrasto fra le democrazie liberali e le cosiddette democrazie autoritarie, il ridimensionamento della globalizzazione. Partendo da queste due riflessioni, ragionerò poi di politiche per la sicurezza.

Democrazie liberali e autoritarie

Come sappiamo le democrazie liberali sono basate sullo stato di diritto, sulla divisione dei poteri, in Italia sulla prima parte della Costituzione, sui diritti dell’uomo, sulla libertà di stampa, sul sistema parlamentare, sulle libere elezioni, sulla tutela delle minoranze, sulla libertà religiosa e così via. Insomma, sono basate sulle tre parole chiave della rivoluzione francese: libertà, eguaglianza e fratellanza. Queste tre parole chiave vanno impastate fra loro, senza che una prevalga sull’altra.

Nelle democrazie autoritarie – per non parlare delle dittature vere e proprie – molti o tutti di questi principi non sono in atto. Basterebbe guardare a come sono state condotte le elezioni in Ungheria per averne la prova.

Recentemente però, le democrazie liberali sembrano indebolite al loro interno, specialmente a livello culturale. L’idea è che i loro stessi cittadini siano poco interessati alla libertà, siano presi solo dal consumismo, non siano più disposti ad assumersi responsabilità. Si diffonde inoltre l’idea che la base culturale e storica delle democrazie liberali sia – in realtà – illiberale, basata sul razzismo, sulla repressione delle minoranze, sul militarismo. Senza alcun serio ragionamento di contestualizzazione storica, si propone di abbattere monumenti, di cancellare i nomi delle vie… In fondo in fondo – si dice – le democrazie liberali non sono così diverse dai regimi autoritari. Anche qui domina il capitale e si accentuano le diseguaglianze, non si riesce a mettere in atto politiche lungimiranti, ad esempio non si riesce a contrastare seriamente il riscaldamento globale, e così via.

Noi critichiamo la democrazia liberale, ma poi succede che proprio chi non la vive la cerca disperatamente. L’attacco della Russia contro l’Ucraina – se si ascoltano i discorsi di Putin – è basato sulla volontà di impedire il consolidarsi in Ucraina di una democrazia liberale. Perché Putin e la sua cricca sono terrorizzati che questo possa accadere anche in Russia, dove in vent’anni sono riusciti a costruire (o per meglio dire, a ricostruire) un ben oliato meccanismo di democrazia autoritaria.

Vorrei riferirmi qui a quanto detto da Andrea Graziosi, uno dei maggiori storici contemporanei dei territori che costituivano l’Unione Sovietica, in una bella intervista su Zapping (Radio Uno). Graziosi ha ribadito quanto sia falsa e fuorviante l’immagine del patriottismo ucraino come “nazionalismo“ aggressivo o, peggio ancora, neonazismo. Si tratta di una costruzione puramente propagandistica, che Putin fa nel solco della vecchia propaganda sovietica, basata su fatti remoti, che con la storia nazionale dell’Ucraina degli ultimi trent’anni non hanno niente a che vedere. È invece strabiliante come in soli tre decenni il popolo ucraino abbia costruito una democrazia su un collante comune di tipo civile – non etnico, non linguistico, non di sangue. Hanno eletto un presidente di origini ebraiche, un ex primo ministro di origini ebraiche, hanno una memoria fondativa condivisa, il genocidio del 1932-33 (Holodomor), che li identifica non secondo una retorica violenta, bellicista, ma all’opposto secondo una retorica di vittime, di perseguitati. Gli ucraini, essendo milioni di piccoli contadini, religiosi e nazionalisti, non erano considerati dai russi “affidabili”, mostrando di andare in direzione opposta ai piani sovietici. Allora i bolscevichi misero in piedi un programma di collettivizzazione forzata che si spinse ad affamare un’intera popolazione. Questa politica causò la morte di almeno sette milioni di persone.

La metà russofona del paese si sente ucraina tanto quanto l’altra metà, non va confusa con la categoria di “nazionalità russa“, e prova ne è stata il fatto che quando, al secondo giorno dell’invasione, Putin ha chiesto all’esercito ucraino di sollevarsi contro il governo, non ha avuto riscontro. Aveva calcolato (molto) male il livello di fedeltà repubblicana di quel paese. Pensava di prendere Kiev in tre giorni. Ha sottostimato la forza della giovane democrazia ucraina. Coloro che ripropongono la bufala del nazismo ucraino sono, a questo punto, colpevolmente ignoranti o ancor più colpevolmente in malafede.

Putin ha avuto il torto di credere realmente all’idea della debolezza dell’Occidente: non è un caso che l’invasione dell’Ucraina sia avvenuta poche settimane dopo l’uscita degli Usa e dei loro alleati dall’Afghanistan, e dopo anni in cui i paesi occidentali non sono riusciti a venire a capo dei conflitti in Siria e in Libia, lasciando spazio alla Turchia e alla Russia. Finora, però, sembra proprio che Putin abbia fatto male i suoi calcoli. Lui sperava di entrare a Kiev con le bandiere spiegate, mettendo su un governo fantoccio come in Bielorussia, ribadendo la supremazia di Mosca sugli stati vassalli. Invece, come ha ben detto Graziosi, l’esercito ucraino e lo stato ucraino non si sono sciolti come neve al sole, come era accaduto all’esercito e allo stato afgano. Inoltre, l’Occidente si è ricompattato, aiutando e armando l’Ucraina. L’esercito russo ha subito smacchi che sembravano impensabili. Esercito russo – peraltro – pessimamente organizzato, corrotto e mal guidato, come ha denunciato con forza Anna Politkovskaja, la coraggiosa giornalista assassinata a Mosca nel 2006 in circostanze – ovviamente – mai chiarite.

Ciò che ha veramente colpito l’Occidente non è stata l’aggressività di Putin e della sua banda, ma la resistenza ucraina. C’è ancora gente disposta a morire per la libertà, come ce n’è stata in Italia ai tempi della guerra civile del 1943-45. Questo dovrebbe far comprendere a noi occidentali quanto preziosa sia la democrazia liberale, e quanto dobbiamo averne cura.

Una globalizzazione ristretta

Vorrei ora parlare di un altro punto a mio avviso cruciale, sempre di ordine geo-politico. Questa guerra, assieme alla pandemia, ci fa comprendere quanto rischiosa sia un’economia basata sulla globalizzazione non regolata dei commerci, senza assumere anche una prospettiva di tipo etico e geopolitico. Come mai tanti paesi d’Europa (e non solo d’Europa) si sono legati mani e piedi alle materie prime importate dalla Russia? E come mai – come ci siamo accorti con le mascherine durante la pandemia – l’Europa ha smesso di produrre alcuni beni essenziali, preferendo importarli dalla Cina o da altri paesi?

Ovviamente la prima risposta è di ordine economico. Gas, petrolio e grano russi sono più convenienti rispetto a quelli prodotti in casa o importati da altri paesi. Lo stesso vale per mille prodotti fabbricati in Cina

C’è però una seconda risposta, meno scontata. L’idea era che moltiplicando gli scambi commerciali, avremmo attirato sempre più Russia e Cina nell’orbita delle democrazie liberali. Come se la libertà economica non possa che essere premessa alle libertà politiche. Purtroppo le cose vanno in modo diverso. Non solo in Russia e in Cina, ma anche in gran parte dei paesi poveri i commerci possono accrescersi e prosperare, ma senza una parallela crescita delle libertà civili. Anzi, quando in un paese vi sono materie prime e l’organizzazione politica è illiberale, spesso le materie prime sono una dannazione per la popolazione, che si impoverisce, mentre si arricchiscono le consorterie che comandano. E la nuova ricchezza può generare nuove guerre.

La globalizzazione va quindi maneggiata con cura. I commerci, la costruzione di imprese multinazionali, lo scambio di prodotti e i movimenti di persone vanno favoriti, ma senza mai dimenticare considerazioni di ordine geo-politico. Uno stato e un’azienda non dovrebbero mai dipendere da un solo fornitore, come non dovrebbero mai avere un solo cliente. È prudente accorciare le filiere produttive, per evitare di bloccare interi comparti produttivi per la mancanza di semilavorati. Inoltre, non si possono fare affari ignorando le possibili conseguenze nefaste sulle popolazioni.

È stato un grave errore aumentare a dismisura la dipendenza dagli idrocarburi russi solo perché erano più convenienti. Ora l’Europa versa alla Russia un miliardo al giorno, e parte di questo denaro viene utilizzato per condurre la guerra in Ucraina.

Dal disordine all’ordine

Alla luce dei due punti precedenti, lo shock di questa guerra, che si è sommato a quello della pandemia, mette in evidenza due punti fondamentali:

Il primo è la necessità di preservare e difendere le democrazie liberali, perché sono la migliore organizzazione sociale che l’uomo è riuscito a dare alle società complesse;

Il secondo è la necessità di rivedere le regole della globalizzazione.

Questi due punti vanno declinati anche per affrontare le sfide poste dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.

Innanzitutto, l’Ucraina va aiutata in tutti i modi, perché non è retorica affermare che i soldati ucraini stanno combattendo anche per noi, e la popolazione dell’Ucraina sta soffrendo anche per la nostra libertà. Purtroppo dobbiamo rileggere pagine della storia europea che sembravano sbiadite: “E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te”. Lo scriveva Hemingway sulla guerra civile spagnola. Gli Ucraini han deciso di difendere la loro libertà, ed è nostro dovere essere al loro fianco. Naturalmente non possiamo mettere a rischio il futuro dell’umanità intera con un intervento diretto della NATO. Ma molto altro si può fare per bloccare l’esercito russo, convincendo Putin a intavolare serie trattative di pace. Perché Putin conosce solo il linguaggio dei rapporti di forza. Possiamo fornire aiuti militari e di intelligence. Possiamo aiutare i milioni di ucraini costretti a lasciare il loro paese. Possiamo raccontare nei media la guerra in modo obiettivo e corretto. Possiamo dare un futuro all’Ucraina, accelerando il suo ingresso nell’Unione Europea. E molto altro ancora.

In secondo luogo, va finalmente costruita una credibile, efficace ed efficiente difesa europea. Non è cosa facile, perché esige una cessione di sovranità, come è accaduto con l’euro. Vanno quindi rafforzati i poteri di Commissione e Parlamento. Questa azione politica può essere messa in atto solo in stretta connessione con gli USA, che oggi per la difesa spendono più del doppio dell’intera UE e del Regno Unito messi assieme, che pure hanno quasi 200 milioni di abitanti in più. Tuttavia, i rischi di involuzione autoritaria che abbiamo corso con Trump fanno comprendere l’importanza di una forza autonoma di difesa, espressa dalle liberal-democrazie europee. E non possiamo illuderci che tutto ciò sia a buon mercato.

Il terzo punto sta nella necessità di diversificare le forniture di materie prime, specialmente quelle energetiche. Va inoltre accelerata la transizione verso le fonti rinnovabili. Senza commettere gli errori del passato, ad esempio, dipendendo quasi esclusivamente dalla Cina per la fornitura dei pannelli solari. E vanno superati i mille vincoli italici, che fanno sì – ad esempio – che il tempo medio per la concessione di un campo eolico offshore sia di sette anni invece dei sei mesi previsti dalla legge. Aggiungo anche l’importanza per le imprese italiane di diversificare la clientela estera. Se tu vendi il tuo prodotto quasi solo ai russi, sei evidentemente esposto al ricatto del compratore e – come accade oggi – al rischio di sanzioni.

Infine, per un paese come l’Italia, che basa il suo benessere sulla manifattura, vanno accorciate le filiere produttive. Anche se nel breve periodo può essere economicamente più conveniente farsi arrivare i pezzi di una bicicletta da dieci stati diversi, per assemblarla in Italia, una procedura del genere espone a molti rischi, che possono portare al blocco della produzione di biciclette, come è accaduto durante la pandemia. Meglio – specialmente per le produzioni strategiche per la salute e per la sicurezza – poter contare su filiere nazionali o interne all’Unione Europea.

 

Pandemia e guerra hanno sconvolto la nostra quotidianità. Ci hanno costretti a mettere la geopolitica al centro dei nostri pensieri. Da questo punto di vista, le scelte etiche, economiche e politiche del prossimo futuro saranno fondamentali per dare speranza alla nostra democrazia e conservare il nostro benessere. Possiamo farlo, e dobbiamo farlo.