Le Monde ha pubblicato di recente un ampio rapporto sugli “oligarchi della tecnologia”, in pratica una analisi delle élite di Silicon Valley e dintorni. Di seguito una introduzione e una sintesi.
Una rivoluzione tecnologica?
C’è un angolo del mondo che sappiamo ormai riconoscere come decisivo per il nostro futuro, quello che gravita su Silicon Valley, nei paraggi di San Francisco. Sette anni fa Alessandro Baricco in un suo libro sorprendente (“The game”, Einaudi, 2018) ha cercato di rendercelo un po’ più comprensibile. Forse con un pizzico di eccessivo ottimismo, a leggerlo oggi.
A chi pensava ancora che al tentativo di cambiare il mondo potessero essere votate solamente le rivoluzioni di natura politica e/o culturale egli cercava di far capire che il mondo stava cambiando sotto gli effetti di una prepotente rivoluzione tecnologica.
E che si trattava di un tipo particolare di rivoluzione, una di quelle che denotano la capacità di generare una nuova idea di umanità. Quella di fronte a cui eravamo venuti a trovarci – diceva – era innanzitutto una “rivoluzione mentale”. Anzi, la stessa mutazione tecnologica a ben guardare, era stata anticipata da una mutazione mentale che la fondava e le dava orientamento.
Egli individuava allora le origini di ciò nelle spinte libertarie che caratterizzavano la controcultura californiana; quella che noi riconoscevamo agevolmente nei tratti di culture come quella Hippie che vedevamo in film come Easy Rider, ma che ben difficilmente immaginavamo potesse trovare il suo fulcro più duraturo in luoghi come il retrobottega di uno come Steve Jobs, intento a mettere insieme il primo Mac, in maglione e calzini.
C’è stata – scriveva Baricco – una vera e propria rivoluzione tecnologica, dettata dall’avvento del digitale. In tempi brevi, essa ha generato una evidente mutazione nei comportamenti degli umani e nei loro movimenti mentali. Nessuno può dire come finirà. È un mondo – aggiungeva – che non sapremmo spiegare, è una rivoluzione di cui non conosciamo con precisione né l’origine, né lo scopo.
Della contro-cultura californiana i protagonisti della rivoluzione digitale avevano ripreso una volontà determinata di cambiare il mondo. Si tratta di “rendere il mondo un posto migliore”, dicevano. L’obiettivo (egualitario) era distribuire a tutti i partecipanti all’insurrezione – potenzialmente il mondo intero – i poteri che prima erano concentrati in pochi privilegiati, boicottare i confini, tirare giù tutti i muri, allestire uno spazio aperto a cui tutti possono partecipare senza limitazioni e traendone vantaggio, rendere evidente che il parere di milioni di incompetenti è meno soggetto ad errore di quello di un esperto e quindi saltare tutte le mediazioni, in definitiva favorire il tramonto dei “sacerdoti”.
Baricco cercava di renderci questo mondo un po’ più familiare e accettabile perché in fondo portatore di idee democratiche, anti elitarie, egualitarie, progressiste, ecc, in cui ci si poteva riconoscere, almeno in una certa misura.
Egli d’altra parte si rendeva conto che “dopo anni spesi a disinnescare le élite e a fondare un sistema capace di reggersi sull’individualismo di massa, quel che è successo, piuttosto ovviamente, è che il Game ha finito per produrre una sua élite, nuova, completamente diversa, ma pur sempre élite”. Sette anni fa, d’altra parte, poteva ancora rimanere la speranza che si trattasse di élite aperte e illuminate. Se non altro perché appoggiavano i democratici, finanziavano Biden e sostenevano i diritti LGBTQ+, oltre che essere per la pace e preoccupati della crisi climatica.
Sappiamo tutti che poi qualcosa è successo. Basterebbe confrontare le due foto poste all’inizio della newsletter, una di Musk travestito da supereroe e quella di Steve Job degli anni 80.
Trump ha vinto le elezioni per due volte, in questa élite sono emerse figure nettamente orientate a destra e l’intera élite della Silicon Vally, o quasi, si è inchinata a baciare l’anello del re. Si è avuto anche la sensazione che non lo facessero solo per convenienza, ma perché vi erano delle convergenze obiettive, una sintonia tra quelle che ormai sembravano più che delle élite, delle oligarchie, oltre che delle potenze economiche. E forse quanto sta avvenendo era già implicito nelle premesse iper-libertarie presenti nelle culture di origine, una volta che fossero state applicate al mondo digitale nelle forme che esso è andato assumendo. Paradossalmente proprio perché molti di costoro continuano nell’idea di sentirsi chiamati a cambiare il mondo, essi si sono dimostrati sempre più restii a subire controlli, a confrontarsi con limitazioni. Come era possibile accettare tutto ciò se si era impegnati nel compito immane di “inventare il futuro dell’umanità”? E con ciò la spinta libertaria sembra essere rifluita nel più banale desiderio di una oligarchia a governare il mondo, facendo il modo che lo stesso potere politico arretri di fronte al procedere delle nuove “invenzioni” tecnologiche, quelle che – esse sì – potrebbero dare inizio a una “umanità nuova”.
Il reportage di Le Monde sui nuovi “oligarchi della tecnologia”
Di questo mondo sappiamo ancora molto poco, oggi come dieci anni fa. Di studi scientifici ve ne sono pochi, anche per la rapidità dei processi in corso, e disponiamo di informazioni limitate. Abbiamo trovato perciò molto utile la lettura di un reportage, che forse è qualcosa di più di un reportage, pubblicato di recente in sei puntate su Le Monde, che qui potete leggere.
Ne sono autori tre bravi giornalisti: Raphaëlle Bacqué (San Francisco, inviato speciale), Damien Leloup e Alexandre Piquard.
Il testo è molto lungo – più di 30 pagine – ma essendo prevalentemente descrittivo risulta di lettura scorrevole, oltre che stimolante. E rappresenta una finestra su un mondo che non conosciamo, di cui colpisce innanzitutto la distanza stellare dal nostro, dove “il nostro” va inteso sia in termini generazionali che nazionali. Di seguito una breve sintesi dei sei articoli.
- Nel primo capitolo viene ricostruita la svolta politica dei maggiorenti della Silicon Valley, simbolicamente rappresentata dalla loro partecipazione alla cerimonia di insediamento del Presidente Trump il 20 gennaio 2025. Per alcuni come il fondatore di Paypal – Peter Thiel – non si trattò del resto che di confermare le idee neo-reazionarie che lo avevano sempre caratterizzato. Per altri si trattò di un cambiamento che molti non avevano previsto. Trump commentò così la loro presenza: “L’età dell’oro dell’America inizia proprio ora!”.
- La seconda parte analizza come è avvenuto il cambiamento, come in realtà le aziende della valle abbiano sempre mantenuto rapporti con i Repubblicani e tutelato saldamente i propri interessi, come appare ovvio. Importante fu, da questo punto di vista, l’indagine promossa dal Congresso, durante l’amministrazione Biden, sui poteri monopolistici sviluppatisi nel settore. Il rapporto finale era un attacco molto duro contro le Big Tech. I nuovi sforzi per frenare l’intelligenza artificiale e le criptovalute hanno fatto il resto. Già sotto l’amministrazione Biden i tentativi di controllo si erano arrestati. La vena libertaria della Silicon Valley poteva prosperare indisturbata. Innovazione incontrollata, tasse basse, regolamentazione minima: questo era il sogno di lunga data dell’ala antigovernativa della tecnologia.
- Il terzo capitolo è dedicato a una personalità poco nota da noi – Peter Thiel – ma molto interessante, perché mette in luce la componente aristocratica che si è andata sviluppando tra i soggetti dell’innovazione tecnologica. Thiel ha da tempo espresso un’avversione viscerale per il multiculturalismo e la politica progressista, e un profondo scetticismo verso la democrazia. Già negli anni ’90 “Faceva il tifo per il caos, per distruggere il sistema, la democrazia. Si opponeva al suffragio femminile, all’uguaglianza, all’inclusione”. Fino ad immaginare una società guidata da una piccola élite – uomini, preferibilmente ricchi imprenditori – in cui l’individualismo estremo e la tecnologia sono esaltati. “Non credo più che libertà e democrazia siano compatibili” dice Thiel. La monarchia è la miglior forma di governo… Da ricordare che Thiel è uno dei sostenitori di J. D. Vance. Il terzo capitolo si conclude con alcuni cenni alle attività di Musk e i suoi progetti “marziani”. “Nessun governo terrestre ha autorità o sovranità sulle attività marziane”. Un motivo sufficiente per andare su Marte…
- Il quarto capitolo rileva che i dirigenti di punta della Silicon Valley sono immersi in una “cultura geek” [Nel gergo di Internet, persona che possiede un estremo interesse e una spiccata inclinazione per le nuove tecnologie] prevalentemente maschile, caratterizzata da accesi dibattiti sul ruolo delle donne. Silicon Valley è sempre stato un mondo prettamente maschile e l’ambiente pare caratterizzato da una “misoginia strutturale”. Dal timido Zuckerberg – “L’energia maschile è positiva” – fino al superlativo Musk secondo cui una “Repubblica di maschi di alto rango” è il miglior sistema di governo, perché “solo i maschi alfa con alti livelli di testosterone e le persone aneurotipiche” sono veramente “oggettivi”. Il restyling cui molti esponenti di questo mondo si sono sottoposti assume tocchi prettamente maschili, si orienta versa il Bodybuilding e il bling [nello slang derivato dalla cultura hip hop, la parola si riferisce a gioielli e accessori vistosi e appariscenti, spesso ostentati per esibire ricchezza e status sociale]. Si è parlato qualche tempo fa dell’ipotesi di un incontro a singolar tenzone tra Musk e Zuckerberg, che poi non si è mai tenuto, anche se il governo italiano si era offerto di ospitarlo… Si pensa infatti che il genio si accompagni a un certo tipo di corpo. I nuovi Nerd, diversamente dai primi, vogliono essere atleti. Allo stesso modo l’apparente povertà delle fogge dei primi tempi viene sostituita da una ostentazione della ricchezza (vedi il bling citato: dal catename dorato agli Yacht lunghi non meno di 100 metri). Questi CEO, cresciuti nell’ossessione per i videogiochi ora si immaginano come eroi della fantascienza; idolatrano “Il Signore degli Anelli”, danno nomi alle loro aziende tratte da Tolkien: Palantir di Thiel o Anduril [la spada di Aragorn] di Palmer Luckey [una società di tecnologia militare focalizzata su droni autonomi e sensori per applicazioni militari].
- Capitolo cinque. I Ceo della Silincon Valley si sono nutriti da giovani di letteratura fantascientifica (gli Azimov, gli Heinlein, Star Trek, ecc. che leggevamo anche noi). Essi sembrano voler vivere in quel futuro alla cui configurazione si stanno applicando. La loro è una fede nella possibilità di “migliorare” l’umanità – ovvero di estendere le capacità umane e la durata della vita con qualsiasi mezzo tecnologico. Una fede fiorita nella Silicon Valley come alternativa alla religione. Cos’altro potrebbero desiderare i miliardari della tecnologia, che hanno già tutto, se non sfidare la morte? Si comincia a credere che un giorno l’invecchiamento possa essere “curato”. Si diffonde l’idea di migliorare gli esseri umani aumentandone le capacità e la durata di vita attraverso la tecnologia. Attraverso le neuroscienze, le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale e l’esplorazione spaziale si potrà diventare “postumani”. Si prova perciò a vedere se è possibile trasferire il proprio cervello in un computer in modo da continuare a vivere digitalmente. Forse, chissà, il tutto potrà un giorno venire caricato online nel Cloud. Uomini come Musk pensano di darsi un compito messianico: essere coloro che salvano l’umanità. La fede nella tecnologia sostituisce quella nella religione: “Crediamo che non ci sia problema materiale (…) che non possa essere risolto con più tecnologia”. È la tecnologia la soluzione al degrado e alla crisi ambientale. Perché dunque tagliare i consumi o regolamentare le industrie? Nessuna crisi è troppo grande per non poter venire superata, eventualmente trasferendosi su Marte… [Naturalmente alcuni.] Su questa via è meglio liberarsi del mito di Prometeo e diventare finalmente superuomini tecnologici. Questa visione del mondo non è solo retorica. È sostenuta da investimenti nella longevità, nella genetica e nella riproduzione assistita.
- L’ultima sezione dell’analisi di Le Monde rileva che mentre le tensioni internazionali aumentano, il secondo mandato di Donald Trump ha aperto le porte a un rapido riavvicinamento tra i giganti della Silicon Valley e l’esercito statunitense. I dubbi della vecchia controcultura californiana sono stati spazzati via. Lukey, fondatore di Anduril, che si fa fotografare in infradito e casacca hawaiana (siamo giovani noi…) davanti a una lucente bomba di 6-7 metri (vedi alla fine della newsletter) ha firmato una partnership con Meta per sviluppare strumenti di realtà virtuale per l’addestramento dei soldati statunitensi e con la sua Anduril combina droni e intelligenza artificiale per applicazioni militari. “Oggi i leader della tecnologia sono diventati esattamente ciò che un tempo sostenevano di voler rovesciare: l’élite più radicata e una tecnocrazia, completamente intrecciata con il potere politico”. “I principali giganti dell’intelligenza artificiale non sono più semplici multinazionali; stanno crescendo fino a diventare imperi moderni.