La stampa italiana in questi giorni è stata inondata di articoli, commenti, letture suscitati da una morte, quella di papa Francesco, che non poteva lasciare nessuno, né coloro che lo hanno amato, né quanti lo hanno osteggiato, indifferente. Noi che siamo tra i primi e tali siamo stati anche quando non condividevamo del tutto quanto diceva e certi limiti che manifestava la sua azione riformatrice, pensiamo di fare un servizio utile rendendo disponibili con questa News Letter, i commenti che abbiamo letto in alcune delle più importanti testate estere.
Come si vedrà i commenti, al di là di qualche ingenuità, sono in generale orientati a riconoscere la rilevanza storica della figura di Francesco e a sottolinearne le valenze positive, tanto più evidenti oggi, nel momento in cui il mondo sembra orientato lungo direzioni ben diverse da quelle che lui aveva tracciato, come alcuni editoriali riconoscono esplicitamente.
Naturalmente un giudizio ponderato sul suo papato ha bisogno di tempi lunghi e di un maggiore distacco rispetto all’emozione sollevata dalla sua scomparsa. Qui si può solamente sottolineare come, al di là dei molti elementi in comune agli articoli che riportiamo, traspaiano diversità interpretative di qualche rilievo, che si muovono essenzialmente lungo due coordinate: se Francesco debba essere letto essenzialmente come un liberalizzatore (o un liberal tout court) o se non abbia pesato in lui anche una componente conservatrice; se debba essere inteso essenzialmente come un uomo del Sud fortemente critico nei confronti del Nord opulento o se si sia trattato di un messaggio di carattere veramente universale.
Un intervento del Forum di Limena
In questa News Letter pubblichiamo anche un breve testo, che è stato richiesto alla Segreteria del Forum di Limena da un settimanale diocesano. Steso da Stefano Bertin, è stato poi pubblicato anche in altri settimanali delle chiese del Triveneto. In esso riconosciamo che l’eredità di Francesco è troppo variegata e profonda per poter essere riassunta in poche righe. Si è scelto quindi di soffermarci su due punti: la ricerca della pace vista come un pilastro del suo pontificato; l’idea di una chiesa sinodale, che assume questo stile come forma normale del suo vivere. Il testo così conclude: “L’eredità di papa Francesco può raffigurarsi sinteticamente in uno slancio, che ci dà il coraggio di testimoniare che è possibile camminare insieme nella diversità, senza condannarci l’un l’altro. Un mondo di Fratelli Tutti e la Chiesa Sinodale, ora, hanno bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti. E questo è il cammino che ci sta davanti”.
Washington Post
Secondo il Washington Post Francesco è stato uno dei “pontefici più importanti della storia moderna”, “ha plasmato un papato profondamente riformista”. È stato un innovatore che ha lasciato la chiesa meno “bianca”, meno eurocentrica e meno vincolata alla tradizione. Grazie a lui essa è diventata più globale, moderna e inclusiva, aperta come mai prima a nuovi pensieri. Il suo riformismo e il suo liberalismo hanno suscitato forti reazioni nelle componenti tradizionaliste, in questo senso si è trattato di un papato divisivo. Con la famosa risposta “Chi sono io per giudicare?” diede un segnale che la chiesa cattolica, sia pur tardivamente, riconosceva che il mondo era cambiato e che essa si “stava ritraendo dalle guerre culturali”. In questa direzione egli ha combattuto molte battaglie giuste, in particolare viene sottolineata quella contro il clericalismo. Non sembra però aver compreso alcuni problemi (Ucraina, donne, abusi) che rimangono aperti dopo il suo pontificato. “Francesco era qualcosa di nuovo e, per la Chiesa, qualcosa di cui c’era un disperato bisogno”.
New York Times
Il New York Times non ha pubblicato un editoriale redazionale. L’articolo che qui riportiamo, scritto dal capo della redazione romana del Times, riempie però questo vuoto.
Il testo osserva che lo stile di Francesco, “rivoluzionario e spensierato”, ha suscitato reazioni esagerate, sia che si trattasse di speranze, che di paure. La chiesa si è divisa e molte questioni rimangono aperte. Ma tutti, sia i sostenitori che i detrattori, riconoscono che egli ha in ogni caso fatto molto, perché ha cambiato la cultura della chiesa senza toccare la dottrina. Egli ha aperto lo spazio al dibattito, ha dato un ruolo maggiore ai laici e alle donne, ha costretto tutti a guardare “verso l’esterno”, al mondo di oggi. Anche se i cambiamenti apportati non sono stati rivoluzionari, l’impatto di Francesco è stato più complesso e più profondo di quello che avrebbe potuto derivare da specifiche riforme. Questo è il motivo per cui sarebbe difficile al successore tornare davvero indietro rispetto alla strada che lui ha tracciato.
Le Monde
Secondo l’editoriale non firmato, pubblicato il 22 aprile, Francesco ha voluto spostare le priorità della chiesa cattolica dall’Europa al mondo intero, dal dogma alle problematiche sociali, ha aperto al dialogo con le altre religioni, ha cercato di affrontare le questioni profonde dell’istituzione, senza riuscirvi appieno, ma in ogni caso lasciando in tutti questi ambiti un segno significativo in piena continuità con il Concilio Vaticano II. “Apostolo della gentilezza, più attento alla condizione dei poveri che alle norme morali, preferendo l’apertura al mondo e l’ascolto degli altri all’isolamento, Papa Francesco se ne va proprio mentre le forze contrarie alle sue scelte stanno prendendo vigore”.
Quattro giorni dopo, il 26 aprile, Le Monde ha pubblicato un altro editoriale, questa volta firmato, da Sébastien Maillard, che in passato fu corrispondente dal vaticano per La Croix. In esso l’autore insiste sulla preoccupazione del Papa per l’inaridimento dei rapporti umani nelle società opulente. Egli stesso temeva di esserne vittima e perciò si è caratterizzato per uno stile che cercava di tenere un contatto diretto con la gente. Come ebbe a dire il cardinale Tauran: “La gente veniva a vedere Giovanni Paolo II, veniva ad ascoltare Benedetto XVI, veniva a toccare Francesco”. In ciò egli ha trovato la sua sicurezza e il suo benessere spirituale. La domanda “Che cosa hai fatto di tuo fratello?” è stata fondamento della sua enciclica “Fratelli tutti” ed è stata la chiave del suo pontificato. Da ciò anche la sua passione per gli immigrati, che nella sua visione possono contribuire a rivitalizzare i paesi ospitanti, diventando “nuovi europei”. Il suo insegnamento ha assunto una forte valenza profetica e di fatto si è posto in netto contrasto con il “trumpismo imperante”.
The Guardian
Il Guardian ha affidato il suo editoriale su Francesco a Nathalie Tocci, una personalità ben nota, che ne fa una lettura complessa e più politica di altri. Contrariamente a quanto sostenuto da molti (vedi il Washington Post tra i testi qui riportati) “Francesco non era affatto un liberal”. Su molte questioni egli ha “tradito” le speranze dei “progressisti”. Anche le sue posizioni sull’Ucraina erano “problematiche”. Ma, ciò che ha caratterizzato maggiormente Francesco è stato il suo essere una delle voci più influenti del Sud del mondo, nel suo fermo sostegno ai diritti umani e al diritto internazionale. Lo si vede chiaramente nella sua “incrollabile solidarietà con le sofferenze palestinesi”. Egli ha parlato di questioni che stanno a cuore di chi è rimasto indietro. In ciò ha manifestato un rigore nell’affermazione di principi che raramente sono stati manifestati dai leader del Nord del mondo e che gli stessi Paesi del Sud dimenticano quando fa loro comodo. Lo “spirito” che era presente inizialmente in questi ultimi – qui Tocci cita la conferenza di Bandung, in Indonesia del 1955 – “sembra perduto. I paesi del Sud del mondo accusano giustamente il Nord del mondo di ipocrisia e doppi standard. Ma spesso sono guidati da transazionalismo, populismo, opportunismo ed egoismo tanto quanto i paesi del Nord”. Francesco, invece “era diverso”, “incarnava quello spirito”, mentre ora esso scarseggia in modo allarmante. “Essere all’altezza dell’eredità di Francesco come voce di principio del Sud del mondo non sarà facile. Ma il mondo ne ha bisogno più che mai”
Stampa araba
La Fondazione Oasis ha pubblicato una sintesi di quanto apparso nella stampa araba in occasione della morte di Francesco. Salvo una critica, espressa dall’emittente al-Jazeera, ai suoi silenzi durante il viaggio in Myanmar nel 2017 a proposito della campagna contro i Rohininga gli interventi sono nel complesso lusinghieri. Egli viene descritto come “icona dell’umanità”, un amico degli arabi e dei musulmani, papa del dialogo e del riavvicinamento tra i seguaci di religioni diverse, capace di attrarre persone di tutte le fedi. “Ha fatto rivivere il valore della tolleranza culturale in un’epoca in cui tutti uccidono tutti in nome della religione”. Latore di un messaggio rivolto al popolo che non era un esercizio di propaganda politica, ha incarnato il principio che “l’uomo non è al servizio della religione, ma la religione è al servizio dell’umanità”. È infatti “impossibile stabilire relazioni vere con l’Altissimo se ignoriamo gli altri”. Di lui si apprezza in modo particolare l’amicizia per il popolo palestinese, la decisione di riconoscerne lo stato, l’opposizione alla decisione di Trump di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme, il viaggio in Terra Santa. Sul piano teologico ciò che di questo papa è sembrato avvicinare il cristianesimo all’Islam è stata l’idea che “il nome di Dio fosse misericordia